Come conduci tuo figlio nel mare della vita?

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Vorrei rendervi partecipi di un'esperienza che ho recentemente vissuto al mare con mio figlio. E l'intenzione non è fare invidia a chi di voi fosse già al lavoro, ma piuttosto condividere una riflessione e una metafora sugli stili educativi e genitoriali più comuni.

Lo scenario è una spiaggia con il fondale sabbioso poco profondo, ma irregolare e frequenti onde basse. C'è il mio bimbo di un anno e mezzo che per la prima volta decide di avventurarsi camminando completamente da solo in acqua, sotto gli occhi miei, del papà e dei nonni paterni.

Mettendo abbastanza faticosamente da parte il mio istinto di psicomamma nuotatrice e velista, che vorrebbe quindi prendere subito il timone della situazione, decido di lasciare spazio agli altri familiari e osservare con curiosità e apertura come avrebbero risposto ai tentativi di esplorazione e autonomia del figlio/nipote in un ambiente diverso dal solito, cioè il mare.

Il nonno paterno subito cerca di imporsi dicendo che non si può fare andare un bambino così piccolo in acqua senza braccioli o salvagente o senza tenenerlo in braccio.. "non importa che abbia già fatto corsi di acquaticità da quando ha un mese e neanche che l'acqua sia bassa e nemmeno che entrambi i genitori sappiano nuotare eccetera eccetera" per lui non si discute, è un'esperienza che proprio non si può fare. La reazione del bimbo è quella di arrabbiarsi con il nonno che vuole portarlo via dall'oggetto del desiderio, rischiando seriamente di finire sott'acqua nel tentativo di ribellarsi e scappare .

Si inserisce allora la nonna paterna che sarebbe probabilmente d'accordo con il marito (così avevano sempre fatto con il proprio figlio), ma vedendo la frustrazione e il desiderio del nipote, non vuole deluderlo né subire le conseguenze del suo malcontento. Si sforza quindi di lasciarlo andare in acqua da solo, dove l'acqua è bassissima e intanto lo tempesta di "attento qui e attento là", "No non andare" e urla di terrore ad ogni onda che il nipote incontra (al massimo all'altezza delle ginocchia).
L'effetto di ciò è che il bimbo si spaventa ad ogni urlo e inizia a sentirsi insicuro, mostrare paura e fare tentativi di evitamento di questo nuovo mondo che sembra così pericoloso. Successivamente piange titubante a riva, probabilmente perché vive il conflitto fra il desiderio e il timore, fra osare ed evitare.

La palla passa ora al papà che, figlio di quei nonni timorosi, ma ormai al mio fianco da 14 anni, si rende conto del bisogno di esplorazione e autonomia del proprio bimbo. Quindi lo lascia andare da solo anche con l'acqua un po' più alta, cercando però di tenerlo molto vicino o comunque di prenderlo ogni volta che il fondale scende e sale oppure quando si avvicina l'onda.
Finalmente il bimbo sembra divertirsi e ritrovare anche un po' il brivido della sfida, mentre cerca di scappare dalle braccia protettive del papà. Se non fosse che, in questi tentativi di "ribellione", finisce continuamente con la faccia in acqua e quindi passa repentinamente dal sorriso al pianto di paura e insieme delusione e frustrazione per il papà che gli sta sempre addosso.

A questo punto, visto che mio figlio continua comunque a mostrarsi determinato nell'intenzione di godersi l'esplorazione, decido che è giunta l'ora di mettere in pratica i miei valori educativi, che corrispondono anche a come ho impostato la mia relazione con lui.
Per prima cosa, osservo come si muove e che reazioni ed emozioni manifesta e se e quando cerca la vicinanza o il mio aiuto. Poi, in base a queste osservazioni, cerco un equilibro fra lasciargli lo spazio per muoversi, esplorare, divertirsi e la vicinanza per rassicurare e/o intervenire.
Ma intervenire quando?? Forse questa è la chiave.. Intervengo non quando le onde lo scuotono un po', non quando si avvicina al cambio di pendenza del fondale, né quando traballa in cerca di un nuovo equilibrio e nemmeno quando vedo che sta per prendere l'acqua in faccia o se rischia di cadere (cosa che non succede spesso proprio perché lo lascio libero di muoversi e riesce a prendere le misure). 

Vi sembrerò forse una madre degenere a lasciarlo cadere, ma se non lo facessi come imparerebbe a rialzarsi o a chiudere occhi e bocca quando entra in contatto con l'acqua?

Vi chiederete poi che cosa faccio poi quando beve o cade? Avendo lui solo un anno e mezzo, lo rialzo subito perché se in questo caso gli lasciassi completa autonomia, sarebbe esagerato e sicuramente non voglio scoprire cosa succederebbe!

Poi, sicuramente la prima cosa che mi viene spontanea è fagli sentire che sono lì con e per lui, quindi lo abbraccio, lo accarezzo gli do qualche bacio. (Dopo la prima caduta l'ho visto particolarmente spaventato e agitato e quindi l'ho anche preso in braccio e cullato.) Successivamente, lo invito a fare qualche respiro, sia per farlo rendere consapevole che può ancora respirare nonostante l'acqua in faccia, e allo stesso tempo per dargli modo di calmarsi un po'. Se lo vedo più tranquillo, ma ancora un po' scosso dalla caduta e timoroso di riprendere l'esplorazione, gli dico che è normale avere un po' paura dopo quello che è successo e gli ricordo cosa può fare quando gli arriva l'acqua in viso (chiudere occhi e bocca e soffiare). Così lui riparte di nuovo alla scoperta delle meraviglie marine, soffiando preventivamente per un po' e tenendomi un dito, che gli lascio sempre a disposizione nelle vicinanze per ricordargli che se vuole può andare da solo, ma in qualsiasi momento può appoggiarsi a me.

In questo modo, siamo andati avanti quasi un'ora fra gridolini di eccitazione, risate, cadute, ed esplorazioni sempre più audaci.

Ovviamente leggendo vi sarete fatti la vostra idea di cosa avreste fatto voi o di cosa fate in una situazione simile e più generalmente nei confronti delle novità che affrontano i vostri figli. Ma forse vi sarete fatti anche qualche domanda riguardo a quello che vorreste davvero fare e al tipo di genitore che avreste voluto avere in una situazione di questo tipo. È così?

Non ho certo la presunzione di suggerire che tutti dovreste fare come me o di affermare che questo sia sicuramente il metodo migliore per ogni situazione nuova che possa affrontare un genitore con il proprio figlio. Anche perché vi garantisco che sicuramente non è affatto la modalità più semplice e immediata: la continua danza fra lasciare lo spazio per l'autonomia e essere vigile, pronta all'occorrenza, è sicuramente impegnativo non solo dal punto di vista fisico, ma soprattutto emotivo e cognitivo).
Per non parlare del fatto che ogni contesto è diverso e quindi è sempre necessario essere flessibili e valutare bene sia l'ambiente che le proprie capacità e competenze ed emozioni in ogni specifica situazione. In questo caso, per esempio, io sono molto a mio agio nell'acqua, so nuotare bene, conosco il mare e le sue caratteristiche fin da piccola (a differenza dei miei suoceri che non sanno nuotare e vedono il mare come pericoloso e infido) e non era neanche la prima volta per il mio bimbo. In più, per me è molto importante che lui cresca fiducioso di poter esplorare gli ambienti naturali, in particolare quello marittimo/marino.

Non intendo quindi giudicare nessuno, né mio marito o i miei suoceri, né le lettrici (o lettori) che avrebbero fatto diversamente perché magari hanno valori ed esperienze diverse dalle mie! E nemmeno suscitare invidia, com'è invece accaduto con mia suocera: "Beata te Chiara che non hai paura!".  Vi garantisco che c'è sempre il timore di non essere sufficientemente vicina e veloce nel recupero o nella consolazione, così come il dubbio che quella particolare onda possa essere troppo per lui! Il coraggio, infatti, non sta nel non avere paura, ma nell'averla, riconoscerla, usarla come messaggio di avviso per una rapida valutazione e poi, impegnarsi ad agire di conseguenza e cioè in linea con i propri valori.

Il mio intento è quello di offrirvi uno spunto per riflettere sul vostro modo di fare i genitori, di accendere un po' di consapevolezza riguardo come conducete i vostri figli nel mare della vita, in particolare quando si presenta qualche condizione nuova o qualche onda davanti a loro (e a voi).
Un'occasione per individuare i vostri valori in ambito genitorialità, che tipo di genitori volete essere e anche le vostre risorse e i vostri limiti. Così poi potreste provare in qualche situazione diversi atteggiamenti educativi e valutare quello che ritenete più efficace per voi e i vostri vogli figli nei vari contesti.

Naturalmente, vi invito a provare anche questo tipo di approccio (magari non necessariamente al mare!) perché a livello teorico è in linea con gli studi più recenti in campo dell'educazione e anche perché, dal lato più pratico, ho notato sul campo che può essere efficace... considerando per esempio quanto si è divertito mio figlio e quanto ha imparato, senza correre pericoli eccessivi, in quella e in altre situazioni simili.

Come accennavo, è una modalità che richiede consapevolezza, coraggio, impegno e compromessi, ma per me ne vale la pena! E per voi?

 

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